venerdì 15 luglio 2011

Risorgimento ritratto dal Vela

2011
Non solo anno del centocinquantenario italico
ma anche anno della chimica e del centenario artusiano


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Il Prof. Fabio Minazzi - docente presso l'Università dell'Insubria e assai noto anche in Ticino - annovera Carlo Cattaneo tra gli esponenti storici di primo piano del "razionalismo critico europeo":
“Psicologia delle menti associate” (Lugano, 1866): “L’occhio non poteva trovarsi armato (del telescopio) e guidato, se non in virtù di una lenta preparazione alla vita sociale. Quell’atto è l’ultima risultanza del lavoro delli avi e dei posteri: essa è l’opera di più generazioni associate”;
“La natura aveva già stabilito fra una gente e l’altra una disparità di condizioni, secondo la disparità delle cose utili o nocive e dei luoghi e dei climi. Le singole genti nelle loro singole patrie non potevano avvedersi se non di ciò che ella vi avesse posto. La presenza di certi frutti ovviamente alimentari e di certi animali o più mansueti o più feroci, il complesso d’una terra o d’un clima, d’una flora e d’una fauna, dettavano adunque agli aborigeni una serie di atti di attenzione coordinata alla serie delle più immediate necessità; e tanto quivi inevitabile quanto impossibile altrove. E così gli aborigeni dovevano costituire nelle singole regioni native le singole parti d’una superficiale analisi dispersa a frammenti su tutta la terra abitata. La rimanente natura giacque inosservata e indistinta. Era nel genere umano come s’ella non fosse”.

Dell’insurrezione di Milano nel 1848” (Lugano, 1849): “Ora, tutte le istituzioni in Italia hanno da tremila anni una radice di repubblica; le corone non vi ebbero mai gloria. Roma, l’Etruria, la Magna Grecia, la Lega di Pontida, Venezia, Genova, Amalfi, Pisa, Fiorenza, ebbero dal principio repubblicano gloria e potenza. Mentre in Francia il vocabolo di repubblica suona tuttavia straniero, nella istoria d’Italia risplende ad ogni pagina, s’intreccia alle memorie del patriziato e della chiesa; sta nelle tradizioni delle genti più appartate. Gridar la repubblica nelle valli di Bergamo o del Cadore è così naturale come gridare in Vandea viva il re! L’avversione d’una parte dei nostri patrizii per la repubblica è cosa di recente origine; provenne loro dalli stranieri; e per effetto d’avvenimenti che appartengono alla patria nostra. La repubblica era dunque all’usurpatore di Genova più pericolosa vicinanza che non fosse il cognato suo l’arciduca. Pare anzi certo che in un manifesto a tutte le corti d’Europa il re attestasse, che invadendo il lombardo-veneto, egli intendeva solo d’impedire che vi surgesse una repubblica, la quale poi di terra in terra, e per mera virtù d’imitazione, avrebbe abbracciato tutta la penisola. Temeva però del pari che vi si annidasse qualche nuovo principe."


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Tra i personaggi effigiati da Vincenzo Vela ricordiamo anche Tommaso Grossi (Bellano, 1790 - Milano, 1853), poeta e scrittore tardoromantico e prerisorgimentale, ritratto dal Vela a figura intera; un appartenente a quella "linea lombarda" delle lettere, confluente nella "linea passionale" ed eroica del risorgimento: quella che alimentò non poca retorica celebrativa e patriottarda post-risorgimentale ma che nel corso degli eventi trovò sincera e schietta incarnazione in volti e figure emblematica come quella di Garibaldi. Estensore dell'atto di fusione del Piemonte con la Lombardia nel 1848, dopo la Prima Guerra d'Indipendenza, fu autore de "I Lombardi alla Prima Crociata".


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Lettera di Garibaldi a Bertani”, Salemi (13 maggio 1860):
“Spinto nuovamente sulla scena degli avvenimenti patri, io lascio a voi i seguenti incarichi: Raccogliere quanti mezzi sarà possibile per coadiuvarci nella nostra impresa. Procurare di far capire agli Italiani, che se saremo aiutati dovutamente, sarà fatta l’Italia in poco tempo e con poche spese; ma che non avranno fatto il loro dovere, quando si limiteranno a qualche sottoscrizione. Che l’Italia libera di oggi, in luogo dei centomila soldati, deve armarne cinquecentomila; numero non sproporzionato alla popolazione… Che ovunque sono italiani che combattono oppressori, là bisogna spingere gli animosi e provvederli del necessario per il viaggio. Che l’insurrezione siciliana non solo in Sicilia bisogna aiutarla, ma nell’Umbria, nelle Marche, nella Sabina, nel Napoletano, ecc. dovunque sono nemici da combattere… Il nostro grido di guerra sarà: Italia e Vittorio Emanuele e spero che anche questa volta la bandiera italiana non riceverà sfregio”.

Lettera di Cavour a Ricasoli”, Torino (16 maggio 1860):
“Garibaldi è sbarcato in Sicilia. E’ gran ventura che non abbia dato seguito al pensiero d’attaccare il Papa. Che faccia guerra la Re di Napoli non si può impedire. Sarà un bene, sarà un male, ma era inevitabile. Garibaldi trattenuto violentemente sarebbe divenuto pericoloso all’interno. Ora cosa accadrà? E’ impossibile il prevederlo. L’Inghilterra lo aiuterà? E’ possibile. La Francia lo contrasterà? Non lo credo. E noi? il secondarlo apertamente non si può, il comprimere gli sforzi individuali in suo favore, nemmeno. Abbiamo quindi deciso di non permettere che si facciano nuove spedizioni dai porti di Genova e di Livorno, ma di non impedire l’invio di armi e di munizioni, purché s’eseguissero con una certa prudenza. Non disconosco tutti gli inconvenienti della linea mal definita che seguiamo, ma pure non saprei segnarne un’altra che non ne presenti dei più gravi e più pericolosi”.


Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi”, Torino (22 luglio 1860):
“Caro Generale, Lei sa che allorquando Ella partì per la Spedizione di Sicilia non ebbe la mia approvazione: ora mi risolvo a darle un suggerimento nei gravi momenti attuali, conoscendo la sincerità dei suoi sentimenti verso di me. Per cessare la guerra fra Italiani e Italiani io la consiglio a rinunziare all’idea di passare con la sua valorosa truppa sul continente Napoletano, purché il re di Napoli si impegni a sgombrare tutta l’isola e lasciare liberi i Siciliani di deliberare e disporre delle loro sorti. Io mi serberei piena libertà d’azione riguardo alla Sicilia, nel caso che il Re di Napoli non volesse accettare questa condizione. Generale, ponderi il mio consiglio e vedrà che è utile all’Italia, verso la quale ella può accrescere i suoi meriti, mostrando all’Europa che, come sa vincere, così sa fare buon uso della vittoria”.

Lettera di Garibaldi a Vittorio Emanuele”, Milazzo (27 luglio 1860):
“Sire, la M.V. sa di quanto affetto e riverenza io sia penetrato per la sua persona - e quanto io bramo di ubbidirla - però V.M. deve ben concepire in quale imbarazzo mi porrebbe oggi un’attitudine passiva, in faccia alle popolazione del continente Napoletano, ch’io sono obbligato di frenare da tanto tempo - ed a cui ho promesso il mio immediato appoggio. L’Italia mi chiederebbe conto della mia passività e credo che ne deriverebbe immenso danno. Al termine della mia missione io deporrò à piedi di V.M. l’autorità che le circostanze mi hanno conferito e sarò ben fortunato di ubbidirla per il resto della mia vita”.


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Storia di dodici anni narrata al popolo italiano”, Giacomo Lombroso e Davide Besana, Milano (1866):
“Se duro fu mai sempre per una nazione il giogo impostole da un’altra nazione, perciocché ingenito sia nell’uomo il sentimento della propria indipendenza, doveva esserlo viemmaggiormente all’Italia, - che generò l’incivilimento di tutta Europa e fu a così dire la madre di tutte le nazioni, - il servaggio impostole da un popolo da secoli e secoli apportatore di barbarici feudali ceppi; da un popolo, strano miscuglio di culti, di lingue e di stirpi, - gotico aggregato di Nordiche torme - avido di rapine e di sangue, cui solo la verga poteva alquanto imbrigliarne gli eccessi; da un popolo sfrontato e senza pudore, che cacciato tante volte per impeto d’armi e di popolare giusto furore, piombava di nuovo ed irrompeva sulle nostre terre, guidate da duci spietati, inumani, feroci, onde prendervi stanza e gravitare su’ nostri destini, sulle franchigie, sulle coscienze, e fino sulle più tenere, più sante, più calde nostre aspirazioni, per soffocarle, per ispegnerle”.

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Giuseppe  Mazzini (Genova, 1805 - Pisa 1872) Significativamente assente al Vela, presenza significativa ma come fantasma tra i fantasmi di gesso, parla agli Italiani e soprattutto agli uomini della modernità.
Agli Italiani” (Genova, 1853):
“Io considero - e noi tutti consideriamo - il federalismo come la peste maggiore che possa, dopo il dominio straniero, piombar sull’Italia: il dominio straniero ci contende per poco ancora la vita; il federalismo la colpirebbe d’impotenza e di condanna a lenta e ingloriosa morte in sul nascere. Rampollo d’un vecchio materialismo che è incapace d’affermare la collettiva unità della vita, non può coll’analisi scoprirne se non le manifestazioni locali e ignora la Nazione e i suoi fati, il federalismo sostituisce al concetto della missione d’Italia nell’Umanità un problema di semplice libertà e d’un più soddisfatto egoismo. Senza base di filosofia: - senza teorica d’antecedenti storici in Europa, dacchè tutte le federazioni non furono nel passato che concessioni imperfette alla tendenza unitaria, cadute, appunto perché imperfette, ogni qualvolta si scontrarono con l’unità già ordinata: - senza argomenti d’analogia nel presente, dacchè delle due sole confederazioni esistenti, la Svizzera e l’America, questa rappresenta la sola unità possibile tra i paesi di un continente intero, quella, formata per aggregazione successiva, rappresenta, la sola unità possibile tra popoli di lingua, razza, e di credenze diverse”.

I doveri dell’uomo” (Londra, 1860):
L’avvenire, della Patria e vostro, voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi purtroppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano: il Macchiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d’un Grande infelice, v’allontana dall’amore e dall’adorazione schietta e lealmente audace della Verità: il secondo vi trascina inevitabilmente, con il culto degli interessi, all’egoismo ed all’anarchia”.


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Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955, Milano - Salone degli Affreschi della Società Umanitaria
“Nella nostra costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati qui, in questi articoli e, a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo nell’articolo 2 “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo nell’articolo 11 “L’Italia rifiuta la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, la patria italiana in mezzo alle altre patrie”, ma questo è Mazzini, questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’articolo 8 “Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’articolo 5 “La Repubblica unica e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo!
O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento delle forze armate s’informa allo spirito democratico della Repubblica, esercito di popolo”, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo all’articolo 27 “Non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria!
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani, ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!”.

2 commenti:

  1. A Luogo Eventuale appena fondato,proponemmo per il 2011, decennale della morte di Gianfranco Miglio (Como,1918-2011),il lancio di un premio ad esso dedicato: memori,da ex studenti di Scienze Naturali a Milano negli anni '80 del secolo scorso, della di Lui impostazione weberiana e positivista,oltre che tra i primi accademici ad applicare alla politologia i principi e le acquisizioni della sociobiologia;insieme a Carlo Cattaneo anche Miglio appartiene al cosidetto razionalismo europeo e, come Artusi, alla linea positivista del pensiero occidentale. Sarebbe stato interessante e positivamente provocatorio, nel centocinquantenario unitario e a cento anni dalla morte dell'Artusi (tra i primi fautori della cultura materiale presa a fondamento del proprio fare-pensiero), proporre un Premio Nazionale G.Miglio; di bene in...Miglio,poi, sarebbe stato interessante farlo presiedere ad un costituzionalista come il Prof.Onida. Nel frattempo il problema di trasformare l' Ausonia e la Padania (antropologicamente analizzate e distinte da Miglio ) in Esperia, lasciandoci alle spalle un'Italia centocinquantavolte rinnegata e divisa,e' un problema rimasto aperto e forse ormai secondario in una Europa eurasiatica ancora multiculturalista ma tutt'altro che interculturale !

    maurizio (medaglia)

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  2. Sempre nel 2011 (vedasi anche in questo blog),con l'Arch. David Antognazza si progettava di delineare un "orizzonte d'attesa" che,coinvolgendo le territorialità interessate (Comuni e Provincia in particolare),le preparasse all'eventuale promozione a Patrimonio Mondiale dell'Umanita' da parte dell'UNESCO.
    Oggi che l' Isolino Virginia e Castelseprio in particolare sono stati riconosciuti come tali,vorremmo rilanciare: progettando non eventi effimeri ma interventi duraturi ed atti a promuovere concretamente questi patrimoni locali ma mondialmente,globalmente, riconosciuti per il loro valore storico e antropologico.
    Ci piacerebbe cominciare con degli archeosuoni per l'archeologica Castelseprio e dei paleosuoni per la palafitticola e paleontologica "isoletta" del Lago di Varese.
    Magari con l'aiuto degli amici musicofili dell'Ass. Sui sentieri della Musica, diretta da Claudio Ricordi, e con il patrocinio finanziante degli enti locali e della Provincia di Varese, nella persona dell' Assessore Brianza.Senza dimenticare altri soggetti della Regio Insubrica al di qua e aldilà del confine elvetico col Canton Ticino (i siti palafitticoli sono siti seriali che coinvolgono vari Paesi del Lake District cis e transalpino).

    maurizio (medaglia)

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